Nel percorso della mia vita, in particolare quella professionale – iniziata 37 anni fa come prana practitioner e coach di seminari e 14 anni fa come counselor – ho avuto modo di riflettere sui temi del riconoscimento, della riconoscenza e della gratitudine. Termini che in realtà possiamo vedere come un tema unico.
Il riconoscimento è la capacità di riconoscere le doti di una persona, la riconoscenza è onorare ciò che si riceve da qualcuno, con la conseguente gratitudine verso chi ci ha fatto del bene e motiva o dovrebbe motivare alla restituzione.
Emil Cioran, filosofo e saggista rumeno, dice che il riconoscimento è un movimento centripeto che attrae l’energia verso il nucleo nutrendolo, mentre la riconoscenza è come un movimento centrifugo che emana energia verso l’esterno, a restituire ciò che ha ricevuto.
Recentemente ho parlato di questo tema con i miei nipotini, adeguandolo naturalmente alla loro giovane età e loro mi hanno dimostrato di aver colto il concetto.
E gli adulti?
Ho avuto modo di costatare che molte persone necessitano di sviluppare l’attitudine al riconoscimento e alla riconoscenza.
Come molti, ho avuto a che fare con mancanza di riconoscimento e ingratitudine, dovuta a mio parere soprattutto a ottusità, mancanza di professionalità, paura di allargare i confini del proprio orticello, invidia.
Ho costatato che, in linea di massima, le persone che non sanno dare riconoscimento, sono persone poco evolute e a volte anche poco intelligenti.
Fortunatamente ho incontrato un numero maggiore di persone splendide nel campo delle amicizie, in incontri di viaggi e tra i miei clienti.
Cosa di cui sono grata.
Ho da poco rivisto il film “A beautiful mind” con Russel Crowe, sulla vita del premio Nobel per l’economia John Nash.
Nash ha enunciato la teoria delle “Dinamiche Dominanti”: da brillante matematico ha intuito che il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé e, contemporaneamente, per il gruppo.
Il bene comune massimo si raggiunge se oltre ad agire nel proprio interesse, si agisce anche nell’interesse degli altri. Una visione sistemica.
Ogni azione del singolo, positiva o negativa, ricade sulla categoria.
Infatti, l’attività di ognuno di noi viene nutrita dalla reciproco appoggio e viene danneggiata dall’ostruzionismo.
Se si è della stessa scuderia, perché occultare o peggio danneggiare un cavallo di razza?
Concludendo, occorre maggior consapevolezza e riflessione sui nostri intenti e sulle nostre azioni.
Essendo quanto sopra molto utile alla professione del counselor, se vuoi, diffondi l’articolo ai tuoi colleghi.